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giovedì 22 maggio 2014

I bambini rovinano il corpo - traduzione e lacrimucce.

Ciao blog, indovina perché ho saltato così tante settimane di scrittura?
Già, era una domanda scontata.
Amalia è nata, è la più bella bambina del mondo, e io sono una mamma assonnatissima e felice.
In realtà sto preparando il post sul mio parto (più per ricordarmi com'è andata che per lamentarmene stavolta, giuro), ma nel frattempo sono incappata in un post che vale la pena tradurre: come sempre, faccio tesoro delle letture consolatorie trovate sul web, e nessuna come questa lo è stata di più.
Fa parte di un progetto denominato A Beautiful Body, all'interno del quale una fotografa ha raccolto immagini e testimonianze di meravigliose mamme. Ne è uscito un libro e un fantastico video che non vi descrivo nei dettagli, perché l'ho già guardato almeno dieci volte e ogni volta ho pianto, e se ci ripenso ripiango e non scrivo più.
Nel blog poi, ho trovato il post che vado appunto a tradurre e che giudico il miglior post mai scritto nella storia dei blog del mondointero. Inutile sottolineare che sono stata fortunata a non fulminare il computer, viste tutte le lacrime che ci ho versato sopra ognuna delle settecentoventi volte che l'ho riletto.
Non avrei mai saputo descrivere meglio il modo in cui mi sento ora, o l'importanza dei segni della gravidanza sul mio corpo: vorrei poter dare questa risposta a chiunque si sia mostrato preoccupato per il mio impatto estetico attuale - e vorrei che anche il mio ragazzo la leggesse, per ringraziarlo: lui è stato il primo a non preoccuparsi minimamente, e a sottolineare quanto fossi bella anche nei primi giorni, quando ancora ascoltavo le troppe voci intorno a me.

" I bambini rovinano i corpi - Ode al mio corpo postparto " di N'tima Preusser.  
( il link va cliccato comunque, anche solo per guardare le foto ) 
Prima che restassi incinta, qualcuno mi disse "non fare bambini, i bambini rovinano il tuo corpo".
Ormai è passato un anno da quando Anabel è stata concepita. In questo momento, un anno fa, era un microscopico granello nel mio stomaco e stavamo annunciando la nostra gravidanza. Da allora fino ad oggi, ho acquisito e perso cinquanta libbre (22.6 kg ca). Quattro mesi dopo la sua nascita, il mio corpo porta ancora le prove della sua esistenza.
Delle scure piscine ristagnano sotto ai miei occhi. Una valle risiede dove una volta era il mio ombelico. Nelle anche c'è una nuova ampiezza che la me adolescente non riconoscerebbe. Delle linee tracciano i percorsi attraverso le montagne di pelle stiracchiata rimaste sul mio torso. Fulmini sui miei fianchi provano che un tempo fossi troppo piccola per contenere tutto quell'amore che mi avrebbe riempito. Altre rughe stanno ad indicare che una volta mia figlia vivesse dentro di me.
Riesci a realizzare il significato di tutto questo? Ogni arto, dito, falange... persino il suo cuore, sviluppatosi proprio nel punto del mio petto dove è il mio a battere. Quelle montagne di pelle sono tutto ciò che mi rimane per provare che un tempo eravamo una cosa sola, e non due.
Come potrei vergognarmene?
Potrei dire così tanto sul vedere gli occhi di mio nonno incastrati nelle sue orbite, e sotto le ciglia e sopracciglia di suo padre. Vedo il ragazzo di diciassette anni di cui mi sono innamorata insieme a mio nonno da bambino ogni volta che lei mi rivolge il suo sguardo. Indossa persino le mie orecchie e il mio mento. Proprio le due cose che ho maledetto di più durante la mia crescita. Non c'è niente che mi faccia sentire più bella rispetto al vedere queste piccole versioni delle mie stesse caratteristiche, e realizzare quanto esse siano speciali.
Il mio corpo ha reso tutto questo possibile. Non tutti hanno tale privilegio.
Di sicuro la mia pancia è più soffice ora come ora, ma il modo in cui si muove quando salto su e giù la fa così tanto ridere. E sì, le mie anche non sono più così strette come una volta, ma sicuramente conoscono quel dondolare ad otto che serve a cullarla mentre si addormenta. I miei capelli da ventunenne hanno preso qualche tocco di grigio, eppure nulla la calma di più che tenerne una ciocca tra le sue piccole dita.
Non sono impeccabile agli occhi della società, e il mio fisico non ricorda neanche lontanamente ciò che era una volta, ma la mia bimba perfetta mi vede per ciò che sono. Per lei, sono io ad appendere la luna. Lei conosce il mio cuore. Lo conosce da molto tempo prima che ci incontrassimo.
Ed è per questo che mi ama.
Non riesco ad esprimere quanto io mi senta rassicurata e valorizzata da questa verità.
Il mio corpo è solo un contenitore per la mia anima. Un incredibile contenitore. Forte, bello, capace, ed imbattuto.
Il mio corpo è pieno di vita.
Il mio corpo è potente.
Il mio corpo ha fatto di me una madre.
Al massimo, è stato il mondo a rovinarmi prima di conoscerla, e lei è stata ciò che mi ha resa nuovamente sana.  


lunedì 14 aprile 2014

D.I.(F)Y - is better


Vorrei tanto creare uno di quei blog esteticamente perfetti, con un sacco di idee e tutorial su come creare cose meravigliose per i vostri bambini. Ma oltre al fatto che l'ordine estetico sia per me un concetto molto astratto, non ho mai saputo scattare delle foto decenti che non fossero a fiori o paesaggi. 
Rimarrò quindi un'eterna lurker di tutorial altrui, o in alternativa una che si sveglia la mattina e pensa di essere in grado di cucire perfettamente: calunnia, enorme calunnia. Sono una persona creativa e ho abbastanza manualità, ma i progetti risultati disastrosi o (peggio) lasciati a metà superano di molto quelli ben riusciti che posso esporre al pubblico. In linea di massima, sono più brava a creare cose per gli altri piuttosto che per me stessa: ricordiamo la mia indole pigra di base, a volte l'avere un oggetto nuovo solo per me non basta a motivarmi. Per Amalia, quindi, sono riuscita a fare molte più cose in due mesi che per me stessa in venticinque anni, motivata anche dal fatto che la stanza in più, una volta adibita a laboratorio per me e per il mio altrettanto creativo consorte, ora sia destinata alla piccola... con conseguente problema di mancanza di spazio dove mettere il materiale creativo, che comprende: perline di ogni genere, accessori metallici per abbigliamento, campionature di pellami, tessuti (infiniti), macchina da cucire e attrezzi per il cucito, feltro, lana cardata da feltrizzare, carte da decoupage e colle per qualsiasi cosa, superfici da decoupageare in legno o terracotta o plastica (cornici, vasetti etc.), carta crespa e adesiva in varie colorazioni, cartoncini e carte di vario genere, materiale vario per scrapbooking, adesivi, nastri stringhe legacci, tele da dipingere, colori acrilici e a tempera, pennarelli (più che infiniti), pennelli, matite, altro vario materiale da disegno. Il mio progetto era radunare tutto il materiale di base in comode scatole, e tentare di esaurire quasi del tutto il materiale per creare: devo dire che, tra gli errori e le cose riuscite, ho smaltito parecchia roba. E molte delle cose riuscite sono venute meglio di qualsiasi altra creazione degli ultimi anni.
Per me è stato più che terapeutico: non avendo potuto comprare quasi nulla per mia figlia, vista la mancanza di fondi, ho soddisfatto il bisogno di avere cose a mio gusto nella sua cameretta.
Ecco le mie opere migliori! Ho trattato il più possibile le foto con Photoshop, ovviamente, non perché gli oggetti necessitassero miglioramento - ma perché la mia incapacità nel maneggiare una compatta automatica li avrebbe svalutati. Non sono opere perfette, comunque, ed è questo l'importante.

1# Abitini da vecchia t-shirt e canottiera. 



Per fare queste ho seguito più o meno questo tutorial. Non avevo voglia di fare la treccia e cucirla a mano però, quindi per la canottiera (grigia) ho semplicemente tenuto lo scollo originale e ribordato le maniche, tenendo due treccine semplici e sottili per le spalline. Per l'altra ho riutilizzato lo scollo della t-shirt e bordato le maniche con della passamaneria, oggetto che ho scoperto solo di recente e che risolve innumerevoli problemi di bordi storti e cuciture troppo visibili.


2# Felpina lunga da felpa.

 
 Ok, questa era facile. La felpa era già abbastanza piccola, l'ho solo stretta e ho ribordato le maniche in modo da farle a campana. C'era un cappuccio lungo a punta, che ho tagliato mantenendo lo scollo originale e ripiegato su un laccio per le scarpe (ovviamente mai utilizzato) da usare come coulisse.
La felpa originale veniva da questo negozio di Napoli, bellissimo, e non ho mai avuto il coraggio di buttarla via anche se mi era piccola già da tempo... evviva la mia sindrome dell'accumulo!!

3# Gufo portapigiama o portabiancheria.


Questo è il mio orgoglio, sono molto soddisfatta del risultato. Se guardaste l'interno e i dettagli vi accorgereste di alcuni errori madornali pesanti, ma facciamo finta di nulla e guardiamo quest'adorabile gufetto nell'insieme - non è meraviglioso?! Viene dal riciclo di tessuti vari che avevo fermi da mesi o addirittura anni, e mi ha permesso di smaltirne parecchi.

4# Coperta Adolescenziale.

Ecco, posso dire che questa abbia un messaggio più profondo. Queste sono la maggior parte delle t-shirt che ho indossato fino alla nausea dai quindici ai diciassette anni, piene di tutto il mio spirito ribelle e quasi tutte prese a Camden Town - e come tali, composte di un cotonaccio grosso e indistruttibile alla Fruit Of the Loom, molto facile da cucire anche in uno snervante patchwork. Attorno e dietro è tutto pile in doppio strato, avanzato da dei vecchi costumi di Carnevale, materiale che la rende molto pesante e grossa, quindi utile sia come copertina che come telo da gioco (sempre che non si spaventi a vederla, in tal caso la posso sempre mettere via e riproporla verso i suoi tredici anni). 


domenica 2 febbraio 2014

Gravidanza & Cat - Therapy aka Ode al Quadrupede

Oggi ho deciso di parlare della mia Personale Salvezza durante la gravidanza.
Preparatevi, sarà sicuramente un post banale e pieno di termini coccolosi e riferimenti mistici che, per la maggior parte della popolazione mondiale, non stanno né in cielo né in Terra.
Sto ovviamente parlando di una quadrupede bianca e nera di  mia conoscenza: la mia gatta Anita.
Ho parlato di lei dal primo post, ed essendo l'unica a non potersi opporre per regole sulla privacy è anche l'unica qui oltre a me ad apparire in foto.
Ci sono molte teorie sulle preferenze dell'animale domestico che parlano di Personalità Cane e Personalità Gatto: pur essendo convinta di appartenere caratterialmente alla seconda categoria, devo dire di non averci mai dato troppo peso finché lei non è entrata nella mia vita - e sì che i segni erano ben presenti sin dall'inizio: fin dall'età di tre anni, sulle mie lettere a Babbo Natale si nota la richiesta di un tenero gattino nero. Un gattino che ovviamente non è mai arrivato, per una motivazione valida in realtà: mio fratello è sempre stato allergico al pelo dei gatti, ma si tratta ovviamente di una clausola che nessuno si è degnato di spiegarmi fino alla maggiore età (ed essendo stata una bambina ragionevole, vi posso assicurare che mi avrebbe evitato molti pianti). Per tentare di ovviare alla mancanza, sistematicamente veniva portato a casa un cane. So che orde di animalisti potrebbero uccidermi per la prossima affermazione, ma un cane non è la stessa cosa: per quanto mi affezionassi ai quadrupedi scodinzolanti che arrivavano, la mia delusione rimaneva evidente, portandomi dopo un po' al disinteressamento nei loro riguardi.
Parliamoci chiaro comunque, a meno di non stare parlando di un piccolo Rudyard Kipling con una Vera Predisposizione, nessun bambino si occupa dell'animale domestico spontaneamente passate le prime due settimane o al massimo il periodo in cui resta un cucciolo: infatti, normalmente il discorso dei genitori è "Niente cane / gatto perché poi devo occuparmene io". E nemmeno i miei genitori erano granché predisposti alla cura di un cucciolo: mia mamma aveva avuto un'adorabile volpina di pomerania di nome Mimì con la quale aveva vissuto praticamente in simbiosi, e una volta che fu passata a miglior vita fu chiaro che nessun altro cane avrebbe potuto rimpiazzarla. Per mio padre il discorso è un po' diverso: anche lui ebbe il suo personale cucciolo, un alano nero gigante di nome Naìdo, ma dubito tutt'ora che il rapporto tra di loro sia stato esattamente felice. Mio padre si ritiene ad oggi un grande educatore e un amante dei cani, ma non l'ho mai visto dar loro del vero affetto: a prescindere dal fatto che li voglia tenere esclusivamente in giardino, non l'ho mai visto impartire un ordine con un biscotto in mano ad esempio - al massimo, l'ho visto inseguire il malcapitato disobbediente con un giornale arrotolato, o accarezzarlo per un tempo limite a far sì che non gli si sporcasse troppo la giacca.
L'unico vero piccolo Rudyard Kipling in famiglia è sempre stato il mio fratellone più grande, Fulvio. Tra gli animali ospitati a casa quando ci abitava anche lui, presi in momenti diversi o tutti insieme, troviamo: ovviamente cani perlopiù enormi, un merlo indiano parlante, un rospo che abitava sul frigorifero (GIURO), porcellini d'india, due caprette nane tibetane (doveva essere una e un po' grassa, poi si scoprì che era incinta), pappagallini, tartarughe e pesci vari (nessun gatto, comunque). Essendo comunque il fratello più adulto, nei miei ricordi è lui ad essere uscito prima di casa: ne si deduce che in seguito non avessi avuto esattamente degli esempi validi per quanto riguarda il rapporto con gli animali.
Ma anche le preferenze, se sono incise nei geni come una Personalità Gatto può essere, non sono casuali: la mia nonna materna, infatti, la chiamavo Nonna Micia.
Solo lei condivideva la mia spasmodica passione per queste creature sinuose e morbidelle, ed ogni estate in Sardegna andavamo insieme sotto il suo appartamento a dar da mangiare ad un'adorabile orda di randagi. Per spiegare quanto la sua Personalità Gatto si espandesse, faccio presente che se fuori pioveva lei non si azzardava ad uscire sostenendo che neanche un gatto l'avrebbe fatto - cosa che mi divertivo molto a spiegare alla maestra, quando la nonna non mi portava nemmeno a scuola per il suddetto motivo. La adoravo.
Neanche lei, comunque, riuscì mai a sostenermi tanto dal farmi avere il tanto desiderato gattino nero.
Quando sono andata burrascosamente via di casa, sono stata subito ospitata dal mio migliore amico, che con i gatti ha lo stesso rapporto di Rat Man... ma a parte questo, in una casa non mia in cui peraltro stavo molto poco non avrei mai neanche chiesto di poter portare un animale. Quando sono andata a convivere con il mio attuale ragazzo, invece, l'animale c'era già: trattasi del cane più adorabile del mondo, il buon Raul, un involucro di trentasette chili di puro amore, un ibrido bianco e grigio dal pelo ispido, il naso patatiforme e una predisposizione a dare bacini a tutto ciò che gli si muove davanti al muso. Normalmente abita a casa con i miei suoceri (possessori di giardino privato), ma finché abbiamo avuto più tempo l'abbiamo tenuto con noi: nel trasferimento in casa nuova, poi, le cose si sono fatte più difficili - oltre al fatto che fino a poco tempo fa sia io che il mio ragazzo lavoravamo diciotto ore al giorno, la casa è decisamente più piccola ed il poco spazio esterno è completamente aperto e dà su una strada trafficata.
C'era quindi posto per un altro animaletto?
In teoria no, ma niente di ciò che è successo da settembre in poi è stato programmato.
Dopo due giorni esatti dall'essere entrati in casa, una gattina nera e bianca si è presentata alla nostra porta, dopodiché è entrata ed ha cominciato ad aggirarsi per casa tranquillamente, della serie "ciao, mi piace casa vostra, io abiterò qui". Il mio entusiasmo superava anche i sensi di colpa del mio ragazzo nei confronti di Raul, il nome Anita venne quasi automatico proprio da lui, e il fatto che fosse mezza bianca metteva a posto anche le sue superstizioni sui gatti neri.
Dopo sette giorni esatti dal'essere entrati in casa, ho scoperto di essere incinta di due mesi.
Dicevo, niente è stato programmato.
Visto che per l'igiene non eravamo ancora del tutto sicuri (la prima ginecologa da cui sono andata mi aveva leggermente ossessionata con la storia della toxoplasmosi) e che lavoravamo ancora entrambi a tempo pieno, decidemmo di tenerla all'esterno, visto che era una trovatella ed era più abituata alla vita del prato che all'essere chiusa in casa... una scelta che si rivelò immediatamente sbagliata: dopo due settimane esatte dal suo arrivo, è stata investita.
Niente sangue né spappolamenti: il nostro vicino l'ha vista sbalzata via dal paraurti di una macchina a tutta velocità, proprio mentre lei era sul ciglio della strada. Rotolò nel fosso davanti a casa, ma lui non fece neanche in tempo a vestirsi per andare a controllare ciò che temeva essere il peggio: come un Vietkong si era già trascinata sui gomiti delle zampe anteriori fin davanti al suo cancello, miagolando a tutto spiano. Il vicino avvisò il mio ragazzo e la portarono in una clinica appena fuori città, visto che quella vicino a casa non aveva posto quella sera. Aveva una frattura obliqua all'ileo destro del bacino, una lussazione a quello sinistro, e per me fu una vera tragedia.
Sto ancora maledicendo quell'ospedale veterinario.
Certo, la tranquillizzarono e la medicarono.
Certo, ci chiesero subito trecento euro, nel dubbio: poi il mio ragazzo chiese spiegazioni, visto il prezzo leggermente alto, e ci scontarono cento euro - già quello avrebbe dovuto insospettirci. Mi dissero che non avrebbe più camminato a meno che non avessimo fatto un'operazione da mille euro per riparare entrambe le ossa, rassicurandomi però che avrebbe potuto vivere una felice e lunga vita nel trasportino, in alternativa.
Immaginate la situazione: ero incinta e ancora in fase Puro Terrore, con un trasloco ancora in corso, una situazione lavorativa veramente di merda e una gatta che, appena adottata, già richiedeva cure che non avrei potuto permettermi in nessun caso - e la soluzione per lei sarebbe stata, già immaginavo, drastica e definitiva.
Per fortuna, quel giorno ad ascoltare con me i vaneggi di quel cialtrone di veterinario c'era la mia migliore amica. Mi disse che anche lei aveva portato la sua cagnetta proprio in quella clinica per una normale tosse, e le avevano proposto un'operazione per sostituirle un tratto di trachea per la modica cifra di seicento euro. Forse era il caso di sentire un altro dottore.
La portai nella clinica vicino a casa, e per grazia divina trovai proprio la dottoressa specializzata in chirurgia felina. Le sue parole? "..è un gatto. Ha cinque mesi e nove vite, guarirà più in fretta di quanto tu possa pensare. Intanto tienila in un posto delimitato e dalle cibo molle."
Un mese dopo, Anita aveva già imparato ad arrampicarsi sui fornelli (spenti per fortuna). Il mio sogno erotico ricorrente da quel momento è zebrare la macchina del veterinario cialtrone con una chiave inglese arrugginita.
Fu la guerra per tenerla, in ogni caso: mio suocero incalzava il mio ragazzo per darla via sostenendo che fosse un impegno troppo grande viste le altre cose che stavano succedendo, e mio padre incalzava me per lo stesso motivo: ma loro non avevano questa frugoletta soffice che miagolava dal box doccia e si trascinava sulle zampe davanti perché voleva assolutamente tornare a fare il gatto di casa nella sua nuova abitazione. Io mi dicevo che, se avessi abbandonato una povera micetta, non mi sarei mai sentita in grado di accudire un figlio - e sospetto che il mio ragazzo si sia fatto lo stesso discorso. Poi, mi ha detto la più meravigliosa delle cose: "Se ti rende felice, la teniamo". Il mio principe azzurro mi aveva permesso di avere il regalo che chiedevo da quando avevo tre anni: che paure potevo avere a crescere un figlio con lui?! Il collegamento può sembrare idiota, ma in quel momento era la settecentoquarantesima conferma del fatto che non potessi trovare un compagno migliore nella mia vita, ed anche il Puro Terrore da inizio gravidanza sparì come se non fosse mai esistito.
Anita è stata un segno vero e proprio (Attenzione, probabile presenza di discorsi mistici sconclusionati).
Intanto è nata a maggio, mese previsto anche per il mio parto. Ho ovviamente scoperto da poco che mia figlia sarà femmina, ed ho sempre saputo che in tal caso si sarebbe chiamata Amalia, come mia madre: quindi, involontariamente, avranno anche un nome simile. Sospetto che qualcuno lassù me l'abbia mandata per aiutarmi in questo periodo, visto che ha alleggerito molti momenti di sconforto provati finora.
D'altronde, i gatti sono guaritori. Secondo il reiki e non solo, essi sono perfettamente in grado di gestire quel tipo di energia che renderebbe il mondo migliore, per così dire: personalmente, ne sono del tutto convinta. Secondo queste filosofie (odio chiamarle teorie, per me non lo sono), un gatto si nutre dell'energia negativa stagnante nei luoghi e nelle persone, incamerandola un po' come farebbe un pranoterapeuta: quest'ultimo, una volta finita la terapia, deve potersi scaricare in qualche modo (di solito tramite meditazione) onde evitare di essere lui stesso portatore della negatività appena assorbita. Il gatto, invece, è in grado di trasformare quell'energia in positivo, e così facendo la purifica; sono inoltre molto fiera di affermare che i gatti neri sono ancora più capaci degli altri in questa pratica, proprio per la loro colorazione che permette un assorbimento potenziato. L'imposizione delle mani, o in questo caso le zampe (adorabile), avviene con il gesto che un'altra gattara pazza di mia conoscenza ha definito "Fare Il Pane" (ancora più adorabile); il loro mantra non sono altro che le fusa, un emissione di frequenze che riescono ad emettere in maniera ripetuta e senza nessuno sforzo.
Potete dirmi che sono completamente fulminata a pensare questo, ma chiunque abbia mai avuto un gatto sa perfettamente di cosa sto parlando: quando si siede in braccio acciambellato e comincia a fare le fusa assumendo un espressione da siamese, è inevitabile percepire un incredibile rilassamento - e non dipende solo dal fatto che siano particolarmente coccolosi e simili ad un bigné quando si mettono in quella posizione.
Ogni volta che mi sono svegliata completamente devastata dalla nausea e dal mal di testa tipici del primo trimestre, mi sono distesa sul divano e lei si è arrotolata a turbante sulla mia testa, facendo fusa a tutto spiano e impastando sulle mie tempie: inevitabilmente mi addormentavo, e al mio risveglio era tutto passato.
Ogni mattina, da sempre, ha l'abitudine di saltarmi in braccio e mettersi a fare il pane sulla mia pancia, proprio sopra l'ombelico - e vi posso assicurare che ci metta meno forza rispetto ad altre parti del corpo (poi Amalia di solito scalcia e lei mi guarda stupita come dire "..cos'era?! Sei stata tu?!", cosa che mi fa sganasciare brutalmente e spezza un po' la magia del momento).
Ad ogni crisi di nervi dovuta agli ormoni mi si catapulta addosso, arpionandosi alla spalla destra con la sua testa vicino alla mia e il resto del corpo acciambellato sul petto, e resta così anche per ore - al massimo, se si stufa, assume quella che chiamo "Posizione dell'Ermellino", cioè messa a sciarpa attorno al mio collo (..è in grado di addormentarsi così).
Quando poi il mio ragazzo torna a casa più stanco e nervoso di me, sa che se siamo tutti e due sul divano è meglio sedersi sulle sue gambe facendo le fusa.
Il mio carico di energia negativa fino a prima di Natale era ai limiti cosmici, e sospetto che sia per questo che ad un certo punto si sia ammalata: è pur sempre una gatta con otto vite per via della rottura del bacino, suvvia, un sovraccarico è possibile se vivi a contatto con un polo di magagne come me. Infatti, per la sua gastroenterite i veterinari non hanno trovato alcuna motivazione: cinque giorni di ricovero, antibiotici, flebo e antiemetici, il mio conto in banca prosciugato, per poi tornare a casa e ricominciare a mangiare e bere come nulla fosse.
Nonostante le mille difficoltà per riuscire a tenerla, posso dire che una delle due cose migliori che mi siano capitate in gravidanza, ed è un'altra di quelle cose che non ho visto scritte da nessuna parte: la Pet Therapy non è solo per i malati terminali, che cavolo. Una donna in subbuglio di ormoni, che si lamenta con il compagno principalmente per il gusto di lamentarsi e rende così impossibile ogni consolazione, costretta a stare a riposo il più possibile per gli sconvolgimenti fisiologici e stressata dalla prospettiva dei mesi a venire... come può non trarre sollievo da un essere soffice che le gironzola intorno distraendola da tutto questo, e riesce in silenzio a farle sentire tutto il suo affetto? Dovrebbero consigliare questo, invece di terrorizzare schiere di gattare con i fantasmagorici rischi della toxoplasmosi - che per inciso, a meno di non avere strane abitudini coprofaghe è estremamente difficile da contrarre dal gatto di casa.
Vorrei concludere con un pensiero molto carino come conclusione, ma attualmente non ho idee: sono distratta dai continui miagolii di Anita, che proprio ieri ha deciso di essersi abbastanza ripresa da andare in calore per la prima volta. Non ho fatto in tempo a racimolare i soldi necessari per poterla sterilizzare prima.
Quindi concludo dicendo che a questo punto non la considero solo una consolazione gigante, ma anche una specie di prova di costanza per me, che negli ultimi anni ho badato a malapena a me stessa.
Mi sembra di aver sentito su Scrubs una citazione del genere: avere un figlio è come avere un cane o un gatto che, dopo un po', inizia a parlare.
Fantastico.

venerdì 10 gennaio 2014

" Il Principe e la Principessa " - ovvero: mamma, come vi siete conosciuti tu e papà?

C'era una volta una Principessa che abitava in un grande castello, nella campagna vicino ad una piccola città.
Aveva diciotto anni, e tutti si aspettavano grandi cose da lei: il Re suo padre avrebbe voluto essere raggiunto nelle terre calde del sud, i principi suoi fratelli pensavano invece sarebbe partita alla volta di grandi viaggi nel mondo: ma la principessa, nell'inquietudine tipica della sua età e con un animo un po' malinconico ed autunnale, preferiva rimanere nelle nebbie dei luoghi dov'era sempre vissuta, dilettandosi con le arti e le sue damigelle di corte. Queste damigelle erano un po' matte, e spesso trascinavano la principessa in bizzarre avventure che di certo il Re avrebbe disapprovato; si accompagnavano spesso a felloni di rango minore, o si facevano trasportare in calesse dai matti del paese e dai giullari di corte. All'amore, lei non pensava proprio: i principi al tempo scarseggiavano, o quelli che si presentavano erano del tutto inetti ed inadatti.
Una sera però, la principessa si recò ad una festa con una delle sue damigelle: avrebbe dovuto essere una grande occasione, invece si rivelò un ricevimento piuttosto deludente, poiché molti invitati avevano disdetto la loro partecipazione. C'era però, tra i pochi partecipanti, un Principe che non era estraneo agli occhi della ragazza: in tenera adolescenza l'aveva notato ai balli mentre faceva il farfallone con ogni dama della corte, senza però che lui la degnasse di uno sguardo. In seguito, egli aveva disertato sempre più spesso la mondanità di palazzo ed aveva finito per trasferirsi in un altro regno, quindi era molto che i due non si incontravano.
Quella sera, in verità, sembrava un po' matto: sia perché sembrava non notare la tranquillità del ricevimento e si ostinava a ballare senza sosta, sia perché ad un certo punto andò dalla Principessa e le disse: - Non so se sia il vino a parlare, ma voi mi avete rubato il cuore.
Non era certo il modo più romantico per dichiararsi, ma funzionò: si diedero un sacco di baci e ballarono tutta la notte. Verso il far del mattino la Principessa dormiva con la testa appoggiata sulle ginocchia del suo Principe, che le accarezzava i capelli.

La settimana seguente, un nove di aprile, c'era la Grande Festa di Pasqua, un ritrovo danzereccio agreste: fu lì che i due decisero di fidanzarsi, raccontandosi cose dolci e meravigliose e vagando mano nella mano tra i campi del regno. Il Principe era così bello che la Principessa non poteva credere volesse proprio lei, tra tutte le pretendenti; la loro intesa suonava armoniosa, il loro incastro era perfetto, mai due persone in tutto l'universo sembravano accompagnarsi così bene l'uno all'altra. Passarono quasi un anno idilliaco, accecati dalla luce di tale affinità... ma ecco avvicinarsi la prima verità celata in questa fiaba: nessun amore può essere così per sempre, o almeno non tra due normali umani come i nostri protagonisti.
Entrambi avevano infatti i loro difetti, che d'un tratto sembrarono stupirli l'uno dell'altra: il bizzarro Folletto del Tempo adora trastullarsi con le imperfezioni umane, a volte persino accendendole di colpo, rendendole inaspettatamente evidenti. Il Principe aveva mantenuto il suo temperamento pratico e determinato, spesso anche troppo legato alla realtà; la Principessa, invece, amava sognare e divagarsi tra studio e divertimenti, senza essere mai troppo responsabile della sua vita. Finirono per allontanarsi, e fu lì che il Principe venne soggiogato dall'incantesimo di svariate megere: alcune dame e duchesse, prese dall'invidia e dalla solitudine, avevano cominciato ad interessarsi di magia nera, con particolare dedizione verso gli Inganni della Seduzione. Il Principe, sotto l'effetto delle pozioni, sembrava cambiato, freddo e distante, ed ovviamente abbandonò la Principessa.

Ella era inconsolabile; le sue damigelle si prodigavano molto per trascinarla da una festa all'altra per poterla distrarre, ma finivano sempre per incontrare proprio l'oggetto del suo tormento. Conobbe altri giovani felloni, ma erano come quelli che aveva incontrato prima dell'arrivo del suo principe: inetti ed inadeguati, spesso più interessati alle grazie della Principessa che al suo amore.
Come se non bastasse, il Re aveva cominciato ad essere piuttosto pressante sul futuro di sua figlia: se voleva rimanere a palazzo, doveva decidere che cosa fare. Per tutta risposta lei scappò dall'altra parte del Regno, rifugiandosi a casa del suo caro amico Duca di Blackbird. Essendo ospite e non volendo gravare più del dovuto sul suo amico Duca, dovette adattarsi al lavoro ed a molte più fatiche di quelle precedentemente affrontate nella vita d'alto rango: inspiegabilmente, era molto più felice così. Rimase una sognatrice, ma acquisì anche risolutezza e coraggio: era finalmente cresciuta, ed un po' sembravano alleviarsi anche le sue pene d'amore. Riusciva a fingere che non le importasse più nulla, anzi, con il Principe si era anche un po' arrabbiata: ignara dell'incantesimo da lui subito, si era infine convinta che fosse come tutti gli altri inetti del regno.

Nel frattempo lui continuava a subire i filtri ingannatori propinati dalle malvagie megere, le quali non avevano però considerato un particolare: il corpo umano, a lungo andare, si abitua a qualsivoglia veleno, ritornando via via ad uno stato normale. Così anche il Principe si stava abituando a quelle sostanze, e sembrava ora ricordarsi di ciò che aveva provato con la Principessa, sentendone la mancanza ogni giorno di più.
Tornò da lei un anno dopo la loro rottura, quando finalmente gli incantesimi non esercitavano più nessun effetto.
Non dimentichiamoci però che lei era ancora piuttosto in collera col povero Principe, appunto perché ignara del tiro mancino delle megere: decise quindi di punirlo e metterlo alla prova allo stesso tempo, facendogli credere di essere ormai promessa in sposa ad un vile giullare.
Il Principe rimase deluso, poi si arrabbiò con lei, sembrò voler tornare sui suoi passi e non volerla più nemmeno vedere... ma sotto sotto il loro amore era ancora puro ed idilliaco, nonostante i dardi del Folletto del Tempo, e i due non potevano fare a meno di accorgersene. La Principessa capì che solo un incantesimo malvagio avrebbe potuto allontanare il suo Principe da lei, e presa dal rimorso confessò che non c'era nessun giullare a cui sarebbe andata in sposa: l'unico vero Amore, per lei, era sempre stato solo il Principe.
Da quel momento in poi non si lasciarono mai più.
Certo, non erano più accecati dalle farfalle delle nuove emozioni, ora si guardavano l'un l'altra per ciò che erano in realtà: con tutti i loro difetti e le loro imperfezioni, che amavano tanto quanto i rispettivi pregi.
Andarono a vivere insieme, prima in un castello un po' malconcio, e in seguito in una piccola e bellissima dimora come quella che avevano sempre sperato di trovare. Nessun incantesimo malvagio avrebbe più potuto fare effetto su di loro, perché avevano imparato a combatterli e sconfiggerli tutti. Le megere dedicarono ad altri le loro attenzioni, sapendo di non poter più vincere.
Anche il Re fu contento per loro, così come le damigelle, il duca di Blackbird e tutti gli altri benevoli personaggi di questa storia.
Presto sarebbe nata anche l'ultima, bellissima conferma della loro unione: una piccola principessina, che col suo meraviglioso sorriso avrebbe cancellato ogni forma di cattiveria dal regno nei secoli dei secoli.


E vissero per sempre felici e contenti.